mercoledì 5 gennaio 2011

happy new year

Sono una persona ragionevole. Poco pacata, poco discreta. Ma ragionevole. Molto inquieta, molto rumorosa. Ma ragionevole. Poi, però, le declinazioni del verbo essere si slabbrano, per la tensione degli eventi.

La cura più immediata per queste istanze di confusione, è sempre stata l’elencazione. C’è una potenza inaudita che si incarna nella lista, un incredibile pratica di potere: la tassonomia affetta la realtà, la scontorna, ne spinge porzioni all’interno di uno spazio chiuso – con buona pace della suggestione borgesiana- clamorosamente la opprime. De-finire e ordinare: affermarsi come soggetto giudicante… mica poco, quando ci si ritrova inani e disorientati. La violenza è la rivalsa dei deboli (quasi come le sentenze sono i puntelli di pensieri fragili, eh eh…).

Mi sono sempre immedesimata nello sguardo infantile di Cusack (versione cinematografica di Alta fedeltà - il libro no, non l’ho letto e mi piace troppo il film per farlo), nella sterilità che conosce come sola forma di creazione la compilazione di compilation… Questo stesso blog, ad eccezione di qualche fugace digressione, altro non è che una lista ordinata degli stimoli cui mi sottopongo. E dunque, fare elenchi m’ha sempre confortato. Fino ovviamente allo scorso autunno, quando ilfenomenotelevisivodellanno mi ha espropriato mi questa pratica portandola alla ribalta mediatica! Dura la vita per chi è tutto intriso, zuppo come un savoiardo nel caffè, di spirito del proprio tempo…

Eppure il passaggio d’anno è zona simbolica d’elezione per le liste: i buoni propositi, i cattivi propositi, gli attivi e i passivi della porzione di tempo trascorsa… Io per esempio, nel tentativo di limitare il danno, ponderandolo e guardandolo dritto negli occhi, mi sono cimentata nella lista delle cose che ho perduto negli ultimi dodici mesi (anzi tredici, perché in barba ad anni di studi storici annalisti, mi scopro radicalmente événementielle e quindi il mio anno si è aperto il 13 dicembre 2009):

1) la fede nelle divinità familiari [culto che prevede riti sacrificali, e ancor più il suo abbandono].

2) il volto di un’amica, la sua voce che non risuonerà più.

3) la speranza di un futuro lavorativo nell’università.

4) la stima che portavo a un discreto numero di persone [sottoelenco].

5) il tabù del rimpianto.

…arrivata a cinque mi sono fermata, perché la vertigine della lista stava per sopraffarmi – altro che consolazione…

Ora, se il singolare lettore non avesse ancora abbandonato la pagina, sarebbe più giusto tornare alle liste solite, quelle di librifilmefumetti.

In sala non è andata malissimo: c’è stato Una vita tranquilla di C. Cupellini, che è proprio piaciuto, credibilissimo nella costruzione dei personaggi, sostenuto nel ritmo, coerente nella fotografia e (anche se molti non sono stati d’accordo) nella colonna sonora. Come poi lo stesso regista passi da Lezioni di cioccolato, ridicolo spottone Perugina, a questo, resta un mistero. Non è stato spiacevole neppure Bright star, in cui la Campion ripercorre la storia degli ultimi anni di vita di Keats e del suo amore disperato; l’abituale voyeurismo della Campion in questo caso non è stucchevole e a tratti coinvolge. Complessivamente buono, anche se non all’altezza delle acclamazioni che l’hanno accompagnato, The social network di Fincher, che credo possa avere alti e bassi, ma è difficile che un film lo sbagli (aggiungo che, probabilmente, la pellicola ha più presa se non si è già facebook addict come la sottoscritta). Totalmente fallimentare invece Mazzacurati con La passione, film da cancellare senza spenderci una parola in più. Molto divertente nella sua bizzarria l’esperimento di RCL – ridotte capacità lavorative di M. Carboni, in cui un Paolo Rossi molto in forma conduce un’indagine sui generis su Pomigliano, la fabbrica e il territorio, offrendo, tra le risate, uno sguardo acuto che in parte disintossica dal marchionnismo televisivamente imperante. Un film che è stato trattato o troppo bene o troppo male dalla critica e dagli amici m’è parso Somewhere di Sofia Coppola che no, non è un capolavoro, ma è una storia minima tenuta bene dagli attori, che lascia l’amaro in bocca quanto basta. Un po’ deludente, infine, Tron: legacy 3D di J. Kosinski, che non si sforza troppo di costruire una impalcatura teorica convincente e si limita a citare (citare? imitare? riciclare?) elementi pregressi, da Videodrome a Matrix, da Kubrik a Cameron. Ma non sarebbe neppure lì il problema, se non fosse per lo spreco del 3D, mai portato alle estreme conseguenze e che non produce perciò l’effetto di coinvolgimento sensoriale che - per undici euro e il rischio emicrania - io pretendo d’avere. Unica vera salvezza: i Daft Punk che dominano per due ore piene.

A casa s’è visto davvero poco: troppo tardivamente recuperato Invictus di Eastwood, emozionante anche quando la faccia di MorganFreemannelruolodiMorganFreeman [cit.] non la si regge più. Dopo vari anni è arrivato anche Pater familias di F. Patierno che, con un uso un po’ onirico del flashback, mette in piedi un racconto forte e disturbante. Davvero deludente Il giorno della locusta di Schlesinger, dalla fotografia che, col senno di poi, è clamorosamente datata agli anni ’70 come le foderine di certi quaderni con i tramonti, ed un montaggio lento e insensato. Per ultimo ho acchiappato per i capelli, in 2D, l’Alice di Burton, che non mi ha disgustato, ma neppure mi ha conquistato come Burton sa fare…. Aspettiamo che il nuovo Eastwood risollevi le nostre sorti, prima della ripresa del cineforum…

Poco tranquilla e molto affaticata, ho letto pochissimo, con un libro e mezzo all’attivo: il trascurabilissimo, seppur divertente, Non avevo capito niente di De Silva e il ben più divertente e intrigante Io sono un gatto, romanzo d‘inizio secolo scorso del giapponese Natsume Soseki. Dulcis in fundo, all’incrocio tra la brevissima lista dei nuovi fumetti (finanze ridotte) e quella, ancor più breve, delle persone che non hanno ancora deluso le mie aspettative, Bastien Vivès con il suo nuovo Nei miei occhi, di cui non dico perché bisogna leggerselo e basta.

Ed ora per salutarsi, la nuova dirompente suoneria del mio nuovissimo telefonino, sic!


5 commenti:

  1. Ciao.

    Lasciando stare il diritto romano ed il "bisogno" di tralasciare le potestà genitoriali più moderne. Un "bisogno" tipico della sottocultura italiana, che non apprezza il semplice diritto canonico e manda figli a giurisprudenza per mentire meglio mentre girano attorno alla Rota Romana....

    Io non conosco i film che hai citato, se non "Alta fedeltà".
    Lo trovai molti anni fa davvero carino e mi fu chiaro perché fosse stata così illuminante la ex-fidanzata interpretata dalla bella mora.

    Ma non ne ricordo il nome e né cosa disse se non che poi il protagonista fosse in "crisi classica".

    E' normale che l'attrice fosse stata scelta dal casting per rappresentare la donna a cui per strana ironia del cinema deve toccare la sorte di essere cercata da ex in difficoltà esistenziali.

    Nella realtà sbavano e basta.

    Ma c'è un fondo di verità nel mio cinismo. Vediamo un po'.
    Io non vado "praticamente" mai al cinema.

    Perché io sono cinema.

    Poi che Carmelo Bene mi abbia trasmesso la sensazione che si possa anche fare questo genere di affermazioni e solo in certi contesti adeguati e quello che mi salva.

    Ghezzi era un precursore grandioso della situazione.
    Non lo seguo da tempo immemore, ma lui mi stampò che il Cinema fosse diventato in un certo momento televisione.

    E allora deve essere successo che la mia natura perversa, sedotta dal "general intellect" abbia partorito quello che appare come un mostruoso uomo-cinema.

    Anche Internet mi ha aiutato. Temevo che mi scoprissero oppure mi chiamassero per diventare Tron e dunque la sofferenza del parto è stata adeguata a sopportare quanto scrivo se gli interlocutori si divertono.

    Per vedere Paolo Rossi molto in forma al cinema ci andrei, ma il titolo non è per me.

    Esistono troppi cattivi critici letterari che scrivono di cinema. Non hanno senso del sacro. Dovremo entrare nel secolo e vederli appassire.

    I titoli sono belli. E' bello commentare insieme un film a titolo noto. E come stechiometria: la titolazione delle soluzioni.

    I film sono soluzioni.

    Tu scrivi un bellissimo blog ed il mondo non ti merita.
    E non ti merita perché mi puoi apprezzare come Woody Allen in Amore e Guerra.

    Tron è un bel film che non ho visto.

    Lo ricordo recensito da Topolino e so della versione legacy come di un titolo che allude chiaramente a che si tratta di un film per macchine obsolete.

    Su di me non gira se non ho la scheda audio PCI-Express.

    Vorrei vedere l'originale Tron con uno o più nipoti.
    Tron è stato un serio prodotto Disney.

    La bellezza del montaggio analogico venerato dal direttore di Fantozzi mi impone di essere storico-critico fin dall'infanzia.

    Non vorrei parlare di Tron con i miei cuccioli come se fosse Guerre Stellari.
    Ma succederà sicuramente e dunque è meglio Disney.

    Ho un cucciolo di 7 anni che a 6 mi ha chiesto di mantenere un segreto che qui posso predicare:

    "Non diciamo a nessuno che gli extra-terrestri non esistono"

    Dobbiamo metterci ancora d'accordo su molti dettagli biologici. Ma stiamo credendo che sono gente normale che fa i turisti d'estate.

    Capisci? Io ho una responsabilità verso l'umanità intera. Non posso andare al cinema.

    Cara vecchia televisione.
    Ci hai insegnato a parlare di dove non potevamo arrivare. Ci reso oltre quello che eri e resteremo quello che hai formato per essere coerenti come le ottiche di un Laser.

    Hai bellissimo blog.
    Sono troppo ignorante.
    Devo ancora tradurre il profilo.
    Del "feticismo secondo Marx" di questo mondo ne scrivi tu.
    Io faccio il Tifo e leggerò Soseki.

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  2. Scusa. "Ci reso" è un lapsus.
    Inventa quello che vuoi.
    Non ti preoccupare. Hai i mezzi.

    Oggi ho addirittura sentito al TG2 un cosa come "cani molecolari".

    Ma forse è stato un un segno iperreale.
    E' una domenica in cui un TG può può rendere i fisici megalomani e farci entrare in faccende cosmologiche.

    Don't Worry...

    Per me le idee di Hassler si possono indossare abbastanza bene ma non credo di essere un campione con l'epoché.

    Forse erano solo unità cinofile che ho frainteso.

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  3. ve lo meritate, il cinema delle attrazioni.

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  4. ... la faccenda si fa interessante...

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  5. Sì, è proprio vero ci meritiamo un cinema di fataloni. :-D
    Vabbuò, Natale è passato da un po' e ho dovuto cambiare la mia immagine di profilo su Facebook: non c'è più Snoopy e posso dire la mia verità sull'interesse che mi suscita Soseki. Io prima di addormentarmi leggo Shultz. Perché appartengo allo zoccolo duro.
    http://www.schulzmuseum.org/

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