Ieri sera ho visto "L'onda", il film di Dennis Gansel ispirato ad una storia veria. In sintesi, c'è un prof un po' fricchettone e una classe di oggi, tristemente globalizzata, ché Dortmund o Cesenatico la differenza sfugge (ad eccezione dei genitori tedeschi, meno sessuofobici di quelli italiani, indubbiamente). Il nostro prof decide di fare un esperimento didattico e l'esperimento funziona come mai accade in laboratorio... Bastano sette giorni per fare di un gruppo di adolescenti confusi (forse bisognerebbe scriverlo tuttattaccato adolescenticonfusi, inscindibile binomio) un manipolo di fascisti. Bingo! Dopo quasi due ore resta il sospetto che per i suddetti giovani, che hanno assaporato il gusto della coesione di gruppo e dell'individuazione del nemico come sfogo di ogni frustrazione, la tragedia finale non basti a tornare "sulla retta via".... Sul film non c'è nulla da eccepire, è ben girato, non rischia di risultare retorico perchè i personaggi non sembrano tagliati con l'accetta, è indubbiamente efficace, godendo del bonus "storia vera". C'è anche il bonus attualità per lo spettatore italiota, tra i proclami dei 5 in condotta, parapsicologi che inneggiano alla disciplina, ai nocheaiutanoacrescere e ai grembiulini (altra questione affrontata e egregiamente risolta nel film). Certo, oltre tanta attualità, a me un po' di amaro in bocca è rimasto, per varie ragioni.
In primo luogo perchè i liceali del film mostravano competenze e conoscenze che io fatico a trovare nei ragazzi che incontro all'università (anche se sono consapevole che stare "dall'altro lato della cattedra", per quanto ti mostri accondiscendente e ti fai dare del tu, come il prof del film, resta un punto di osservazione distorto). In seconda battuta perchè ancora una volta mi sono trovata a riconoscere che c'è un principio di gratificazione quasi universale nel rituale, nell'appartenenza, nei processi di identificazione collettiva... Mi rendo conto, è una considerazione molto ovvia, che però ieri in me ha suscitato sgomento. Un disagio che probabilmente devo ricollegare alle immagini di folle acclamanti il nano in Sicilia della sera precedente (Report 15/03/09), o fors'anche ai kilometri percorsi attraverso campagne colme di rifiuti, strade dissestate, centri commerciali suppurati nel vuoto, che ho bazzicato negli ultimi due giorni. Lo stesso vuoto che ritrovo a volte nelle analisi del mio studente, che mi fa tenerezza e rabbia, insieme, perchè non condividde nessuno dei miei strumenti di analisi mentre io sono incapace di comprendere quali siano i suoi, di strumenti. Un vuoto in cui imperversano attitudini individuali molto discutibili, ma che poi si compatta dietro rituali mediatici, dietro una fascinazione taumaturgica per la pauperizzazione della discussione, dietro la seduzione giullaresca ed autoritaria, dietro un becero clericalismo che nulla ha a che vedere con la forza di chi crede.... E mi vengono fuori frasi bislacche, che bypassano le analisi attente, i tanti strumenti, e si caricano invece dell'insofferenza, del soffocamento, del senso di speranza rattrappito, del dubbio sull'azione e, infine, anche della profonda frustrazione di non appartenere più ad un gruppo, di non riconoscermi in valori, rituali e pratiche condivise... ed ecco che il cerchio si chiude.