venerdì 27 novembre 2009

... e 3

Lavoro in corso, lavori terminati. Giorni di sole quasi estivo e pioggia torrenziale di ritorno. Una primavera fuori tempo nella testa…
Con il giusto controllo sono andata incontro ad alcune storie di perdita e spaesamento. Al cinema un non molto riuscito film italiano, Tris di donne e abiti nuziali di Vincenzo Terracciano, troppo assorto sul protagonista ed i primi piani per ottenere un buon risultato, ed è un peccato. Fortissimo e coinvolgente invece il quasi documentario Below sea level di Gianfranco Rosi. Il regista ha seguito per cinque anni un gruppo di homeless che vive nel deserto californiano, senza acqua, senza elettricità… Per quasi due ore si percorre il crinale tra la normalità e il fuori, tra dolori covati, desideri non sopiti e faticose prese di coscienza. Il regista era in sala ed ha confermato, nei suoi aneddoti, la forza di alcune riprese. Molto efficace la fotografia.
Addii e perdita anche nel breve romanzo di Philip Roth Everyman. Attraverso un racconto in terza persona che si fa soggettiva emotiva recupera la vita di un uomo qualunque, del suo corpo malato, delle sue passioni, della difficoltà di andare incontro al limite, ed accoglierlo.
Altre volte i limiti sono semplicemente mentali, come suggerisce L’uomo che fissa le capre, elogio postumo a Timothy Leary zeppo di citazioni e metacitazioni, dove gli attori fanno il verso alla propria carriera in un pastiche a metà tra i Cohen e il Gillian di Paura e delirio… divertente, a tratti esilarante, ma senza profondità.
La potenza salvifica del chiudersi in una sala buia è confermata, oltre che dall’estetica dello squallido che pervade il tutt’intorno, anche dagli esiti fallimentari dei noleggi video:
The spirit di Miller è un pendolo che oscilla tra la noia e l’insulso, gridando vendetta al cospetto del dio Eisner. Altrettanto ignobile il moralistico Live! di Bill Guttentag, dove le pur sode rotondità di Eva Mendes appare evidente che non sostengono 96’ di pellicola (e tantomeno le ernie inguinali del pubblico).

mercoledì 18 novembre 2009

due di due

La settimana scorsa un film svedese ha fornito la prova - ennesima - di quante scelleratezze si producano nel mercato italiano. I trailer in sala e in tv di Una soluzione razionale lo facevanno apparire come una commediola sulle coppie allargate. Si tratta invece di un film drammatico, che sicuramente guarda a Bergman ma con la disillusione di alcuni decenni più tardi, con dialoghi minimali, con la ferocia banale della quotidianità, smorzando i toni ogni volta che si desiderebbe un exploit, facendo un po' soffrire il pubblico. Un film tutto sommato abbastanza bello, con attori bravi (ma inseriti in una fotografia così scandinava da sembrare quasi cliché, ahimé).
Ancora cinema italiano: solidamente convinta che Il grande sogno sarebbe stata una clamorosa cazzata mi sono, solo in parte, ricreduta. Gli attori se la cavano, specie Jasmine Trinca. I personaggi non sono stereotipati come accade ad esempio nel '68 di Giordana (il più banale è il Libero/Argentero, mentre quello scritto meglio, nelle sue contraddizioni e incompletezze, è proprio Laura/Trinca). Nel complesso il film non fa né mitologia né superflua autocritica. Mi è parso interessante, e spero sia frutto di un intento preciso, il trattamento in parte televisivo delle immagini, la commistione di repertorio e sequenze invecchiate che pare suggerire una riflessione su come l'immagine mediale intervenga a costruire e persino a riscrivere la memoria di chi degli eventi è stato protagonista. Di tanta banalità, tra il nostalgico e il dissacratorio, che avvolge il ricordo di quei fatti questo film ha il merito di ciò che non fa.
Una nota autobiografica: mi ha fatto sorridere rendermi conto che i gruppi di studio proposti durante l'occupazione sono esattamente gli stessi che, 21 anni più tardi, vennero organizzati nella mia prima autogestione (Genovesi, Pantera...)

martedì 17 novembre 2009

autocitazione, in un certo senso

Ho scoperto di recente l'esistenza di una poesia che porta il mio nome e che in realtà proprio di me parla. Si badi, non si tratta mica di cazzate alla Bondi (altra tautologia, esagero ultimamente) bensì di una raccolta di poesie di un vecchio amico di mia madre che, all'epoca del ricordo che deve averlo ispirato, per me era una enigmatica figura sottile con i baffi, spesso silenzioso, che si assunse l'onere di una (allora, preinternet) complicata ricerca sul mio onomastico e l'origine del mio nome. Insomma, adesso c'è questa raccolta di poesie, di cui alcune davvero belle, che ha persino una prefazione di Agamben. Lui si chiama Francesco Nappo e questa Sera della piccola Nadia mi riporta molto lontano, a quegli anni '80 non ancora intrisi di pop scadente e sofferenza, in cui la casa di mia nonna era l'unica idea di casa che sapessi concepire, i miei genitori, in realtà tanto giovani, mi apparivano sicuri e sorridenti e c'era sempre il sole, anche sotto la pioggia...

Guarda: danza la figlia
appare e dispare
da tutte le stanze

domenica 8 novembre 2009

alti e bassi

Passati i morbi si torna finalmente al cinema. Up in 3d è molto bello pur senza aggiungere nulla di nuovo sul piano dei temi o dello stile, anzi, si presenta come un racconto piuttosto tradizionale, ma i personaggi sono simpatici, la storia commovente e i tempi perfetti. (Ok, non è wall-e, ma non può esser sempre caviale). Altro film che mi sentirei di definire "tradizionale" è il Nemico pubblico di Michael Mann: un gangster movie con note mélo che non fa la caricatura al genere ma tenta piuttosto di recuperarne la lezione dell'età dell'oro, come viene esplicitato verso la fine. Bravi gli attori e bella la fotografia, meno sopra le righe che in altri film di Mann. La ricostruzione delle ambientazioni ha inoltre il pregio di non scadere nel vintage. Insomma, un film bello soprattutto per ciò che non fa... Nota positiva, anche se piccola piccola, se la becca pure un film italiano piccolo piccolo (riconosco la tautologia), Cosmonauta.
Devo invece segnalare la forte noia procuratami da Kung fu Panda, a conferma del mio scarso feeling con le produzioni Dreamworks. Chiudo con una lista di film superflui, a monito dei lettori: Il patto dei lupi, L'ombra del sospetto, L'uomo che ama, La fiera delle vanità.