domenica 17 ottobre 2010

oh, darling!

domenica 3 ottobre 2010

risvegli




“…Casco dal sonno, ossia “io” cado, “io” non sono più, o piuttosto, “io” non “è” più se non nella cancellazione della sua stessa distinzione. Ai miei propri occhi, che non guardano più niente, che sono rivolti verso se stessi e il punto cieco in loro, “io” non “mi” distinguo più. Se sogno di azioni e parole di cui sono il soggetto, è sempre in modo tale che la soggettività non si distingue più o si distingue a malapena da ciò che, al tempo stesso, vede, intende o in genere percepisce. Questa è infatti la singolarissima coscienza del sogno: si pensa e non si pensa coscienza di un mondo che le sarebbe opposto, come è quello della veglia.” […]

“Quale sé vi si dà da scoprire! Caduto dalle supposte altezze della coscienza vigile, della sorveglianza e del controllo, della proiezione e della differenziazione, ecco un sé reso al suo moto più intimo: quello del ritorno in sé. Che cos’è infatti questo “sé” se non “a sé”, “per sé”? Sé che si rapporta a sé e ritorna a se stesso per essere ciò che è: “sé”. “Io” non fa un sé, perché “io” non fa ritorno: io, al contrario, fugge, sia rivolgendosi al mondo sia ritirandosi da esso, ma è proprio per perdere la sua puntuale distinzione di “io” (ossia anche di “tu”, o ancora beneficiario di un “noi” o di un “voi”). Io casco dal sonno e, al tempo stesso, mi cancello in quanto “io”. Io casco in me e me cade in sé” […]

“Non essere più proprio, non essere più propriamente nel rapporto della proprietà di sé ma, più profondamente e oscuramente, essere di sé in modo tale che la questione del “proprio” tende a cancellarsi (sono proprio io? Sono propriamente ciò che io sono, ciò che ho da essere?): questo implica il dormire in quanto richiede il dissolvimento della domanda e dell’inquietudine che la anima.”[1]

“- Tutti dormono, Mr Worth. Spero non voglia tentare di convincermi, né ora né in futuro, di non aver mai dormito negli ultimi dodici anni.

- Ho dormito ben poco – disse Terry. Magari lei dirà che me lo sono immaginato. che l’ho sognato o non so che altro ancora. Ma si può sognare di non dormire?

- Certo. Succede piuttosto spesso.”[2]

Quanto sonno a settembre… Nel romanzo di Coe ci sono sogni che guidano un’intera esistenza fino a modificare la carne, allucinazioni, eventi che si concatenano rispondendo ad una regola del gioco che viene offerta al lettore. Il tutto calato in un torpore sonnolento che contagia il paesaggio e i protagonisti. Il sonno procede per stadi finché, nella fase rem, le pulsioni trovano espressione e i desideri s’appagano. La precisione, quasi macchinica, del ritmo, aggancia nella lettura ma poi, dopo, lascia un residuo amaro.

Lo stesso Coe dà vita ad un congegno narrativo altrettanto efficace ma più emozionante in La pioggia prima che cada. Fallisce invece in Circolo chiuso, che più che chiuso è claustrofobico.

Altrettanto chiuso è il giocattolo di Inception, dove Nolan, a patto di abbandonare ogni personale paradigma sulla natura del sogno, costruisce un’architettura di coerenze interne, di precisioni millimetriche e suggestive, due ore e mezza di matrioska (pseudo)onirica. Il film è bello, anche nelle sue scene d’azione – con buona pace dei detrattori – e forse il solo paradosso è nel margine di creatività lasciato all’interno di un universo le cui regole di autoproduzione sono tanto rigidamente enunciate.

Molto più creativa è parsa la follia, tardivamente recuperata, dello stesso Di Caprio nelle brume di Shutter Island, con la fotografia, quella sì, veramente onirica…

Gli incubi peggiori, in ogni caso, sono i sogni ad occhi aperti, come sembra suggerire, con la sua formulazione classica, verrebbe da dire “solida” se non fosse abusato, The american.

C’è poi il di-sperato protagonista di My son my son what have ye done (un film di Herzog? di Lynch? difficile stabilire quale presenza sia più forte, se quella del produttore o del regista), che vorrebbe partire “In luna di miele sulla luna”, inchiodato al centro del palindromo, in una ricerca, fallita in partenza, di senso, di direzione interpretativa, di cadrage. Ma al mattino, con la tazza del caffè in mano, non ci sono risvegli possibili…

…anche perché, come suggerisce Nolan, il risveglio è nella caduta e allora il cerchio si chiude, cascare dal sonno e cascare dal sonno, con un limbo di sé indistinto in agguato, alle soglie della nostra veglia…





[1] Jean-Luc Nancy, Cascare dal sonno, Raffaello Cortina editore 2009.

[2] Jonathan Coe, La casa del sonno, Feltrinelli 2009.