venerdì 29 maggio 2009

vincere

L'ultimo film di Bellocchio, Vincere, mi è piaciuto. Le due ore abbondanti trascorrono senza pesantezza, anche se il ritmo della narrazione non può dirsi serrato... Timi e Mezzogiorno sono bravi, intensi senza eccessi. Lo stile è ibrido e sembra parodiare la cifra postmoderna con il ricorso ai filmati d'archivio, le ricostruzioni in b/n, le ricorrenti visioni cinematografiche, i caratteri sovraimpressi... in fondo, sembra ammettere il regista, sono un uomo d'altri tempi che tenta di ricostruire il filo del presente con fatica. L'aspetto più coinvolgente del film è sicuramente nel percorso di violenza che lega Mussolini alla Dalser, che si fa sintesi della violenza sui corpi femminili, e poi sul corpo civile: le lunghe e dettagliate scene di sesso esprimono la forza dell'abuso, ancor più doloroso a vedersi per la totale condiscenza, piegata da un desiderio cieco, di lei.
Oltre a tutto ciò si ritrovano i temi che Bellocchio porta con sè già da I pugni in tasca: un feroce anticlericalismo, uno sguardo lucido sulla perversione che si annida nei modelli familiari, la consepevolezza piena del portato politico delle nozioni di follia e normalità.
A conti fatti, il richiamo al presente appare più forte e meno retorico di quanto la stampa abbia voluto far credere...

mercoledì 27 maggio 2009

2+1

Il cinema continua a vedermi poco. Ad eccezione del cineforum del martedì. Visto Giulia non esce la sera, che come i due precedenti film di Piccioni usa molto il primo piano a marcare la distanza anzichè esprimere prossimità, racconta le vite semplificando la tragedia, come se il tempo scorresse su tutto e la camera con lui. Questo film non ha neppure il lieto fine, per quanto sospeso, dei precedenti, e mi è parso sinceramente bello, anche grazie all'interpretazione, inattesa, di Mastandrea. Due partite di Monteleone invece non funziona, non si distacca abbastanza dalla forma teatrale (vorrebbe farlo con un uso stavolta eccessivo del primo piano) e non rende giustizia alle attrici, che sembrano in leggero décalage con i testi e le scenografie. La seconda parte, quella delle figlie (delle protagoniste della prima), appare più credibile, e meno fissata nei clichés.
Dove il cinema non ha guizzi, il fronte fumetto continua ad esaltarmi. E non poteva andare diversamente dopo il tardivo acquisto e la famelica lettura della Trilogia di Will Eisner (Contratto con Dio - La forza della vita - Dropsie avenue), ed. Fandango. La profondità del bianco e nero, la forza delle narrazioni in cui il fuoco si sposta continuamente, il trascorrere ineluttabile del tempo che nulla sottrae alla forza degli individui, con le loro piccole storie, le passioni e i dolori e su tutto la forza della metropoli, del mutamento... strepitoso e avvincente.

lunedì 25 maggio 2009

suggestioni

Un après-midi là, dans la rue du Jourdain,
on peut dire qu'on était bien,
assis à la terrasse du café d'en face
on voyait notre appartement.

Je ne sais plus si nous nous étions tus
ou si nous parlions tout bas là au café d'en bas,
mais je revois très bien la table et tes mains,
le thé, le café et le sucre à côté.

Puis d'un coup c'est parti, tout s'est effondré,
on n'a pas bien compris, tout a continué,
tandis qu'entre nous s'en allait l'équilibre,
plus jamais tranquilles, nous tombions du fil.

Cet après-midi là, dans la rue du jourdain,
en fait tout n'allait pas si bien,
assis à la terrasse du café d'en face
on voyait notre appartement,
si triste finalement avec nous dedans...

[Yann Tiersen, La terrasse]

venerdì 22 maggio 2009

dieta, cioè... no...regime!

"Le assemblee pletoriche sono assolutamente inutili e addirittura controproducenti'." [Berlusconi 21/05/2009]

Vi ricorda qualcosa? No??? Magari questo:

"Di che male abbiamo sofferto noi? Di un un prepotere del Parlamento. Quale il rimedio? Ridurre il prepotere del Parlamento. Le grandi soluzioni non possono mai essere adottate dalle assemblee, se le assemblee non sono state prima convenientemente preparate." [indovinate chi, la risposta in fondo]




R: Mussolini 25/10/1925

martedì 19 maggio 2009

sodoma

Con circa un anno di ritardo, e per di più su piccolo schermo, vedo Gomorra. Il film mi piace. Mi era piaciuto anche il libro. Ma sono due cose radicalmente diverse, ben oltre l'evidenza del medium. Il libro mi sono ritrovata a difenderlo in interminabili discussioni, precisando che non lo trovavo per nulla ben scritto, che i passaggi con maggiori aspirazioni letterarie erano davvero brutti ma che, anche se raccontava realtà già messe in luce da altri lavori, forse migliori, la vera qualità di Saviano credevo fosse nel suo stesso limite: una scrittura un po' dozzinale e talvolta sensazionalistica, che ha fatto sì che il libro piacesse a decine di migliaia di persone, rendendo possibile una diffusione dell'informazione di portata inattesa e inaudita*. Fermo restando poi il teorema di fondo (teso a smantellare l'ipocrisia di quella borghesia più o meno illuminata che ama deresponsabilizzarsi dietro mistificatorie linee di confine tra bene e male, legalità e illegalità): la camorra è prima di tutto business e il sistema d'affari si articola in una concatenazione di attività legali e delinquenziali in cui tutto il sistema economico è coinvolto.
Tutto questo nel film non c'è (ad eccezione, forse, della linea narrativa di Pasquale). E tuttavia c'è molta più narrazione. C'è anche un'estetica dello squallore con cui Garrone lavora sin da L'imbalsamatore. Ma questa volta, come non in passato, mi ha convinto. Probabilmente perchè di fronte alla forza di ciò che si trova a raccontare, invece di esasperare lavora per sottrazione; e forse per l'effetto alienante della lingua, faticosamente seguita anche da chi come me il dialetto lo frequenta, e che si fa metafora della fatica di accettare, più che comprendere, ciò che l'immagine sbatte in faccia.
Nel riconoscere i luoghi, lo skyline delle vele come le pinete tra Mondragone e il villaggio Coppola, nell'ascoltare le stesse canzoni che ogni mattina, inopinatamente, arrivano a svegliarmi dalla radio della vicina, non ho potuto non chiedermi che emozioni suscitassero in chi vive la libertà di sentire tutto ciò esotico, laddove io lo riconosco e al tempo stesso lo rinnego, lo subisco, spesso, eppure lo avverto alieno: quanto mi riguarda tutto ciò? Quanto ci riguarda? Esiste poi questo ci? Questi pensieri si sono riallacciati, in un crescendo di disagio, ai ricordi di sabato scorso, quando ho trascorso l'intera mattina muovendomi in auto nello sconcertante degrado tra Afragola, Casoria e aree limitrofe, dove le arterie stradali solcano terreni incolti, discariche a cielo aperto, conducendo a centri commerciali tutti simili tra loro, sorti nell'arco di un decennio, moltiplicatisi come da spore su quella terra intossicata. Nuclei vicini eppure separati da un vuoto che solo le automobili possono tagliare, poichè non c'è vivibilità fuori dell'abitacolo privato, non c'è sicurezza, non c'è alternativa. L'immagine agghiacciante di una modernità nata obsolescente, dove ci si perde, si gira a vuoto, perchè i segnali sono troppi, troppo piccoli, troppo diversi, perchè non c'è logica nè orientamento, nè cosa pubblica.
Ed ecco ancora la sensazione di non saper posizionarsi: percepirsi isolati nella folla del centro commerciale, gettati e fragili sulla striscia di asfalto, assenti a sè stessi nella riflessione, atrofizzati e impossibilitati nell'agire collettivo, frustrati nella rappresentanza politica. Ancora incapaci di volgere lo sgomento in ragione, la rabbia in gesto, l'emozione in parole....

*ammetterò una nota sprezzante in queste affermazioni, ma siamo pur sempre il paese in cui, anche leggendo poco, si è concesso che la tamaro e baricco diventassero best seller...

mercoledì 13 maggio 2009

de-visioni

Dopo molti rabbiosi post mancati, una più tradizionale considerazione su qualche visione.
Avendo temporaneamente abbandonato le serie di sky alla prima puntata di Life on Mars, ho ripiegato su una esecrabile successione di brutti film, che liquiderò rapidamente, come servizio di pubblica utilità:
Questa notte è ancora nostra di Genovese e Miniero: misero
Mai stata baciata di R. Gosnell: banale
Il rompiscatole di B.Stiller: al di sotto delle aspettative
Le cose che non so di lui di S. Grant: floscio e melenso
Nero bifamiliare di F. Zampaglione: patetico
Italians di G. Veronesi: insulso con cazzimma
Ex di F.Brizzi: scontato
La cospicua presenza di film italiani conferma il mio giudizio complessivo: il cinema nostrano è messo male. Tuttavia esula dal contesto la pellicola di ieri sera, che non a caso ha avuto un iter travagliato ed una distribuzione ridottissima: Un altro pianeta, di Stefano Tummolini, un film sul dolore e la fatica di affrontarlo, calato in uno scenario iperreale - il litorale laziale - nel quale i corpi si posizionano con difficoltà, attraversando il disagio. Bello.
Per il resto, cerco di dedicarmi ai fumetti e dopo la gratificante ma ormai lontana LMVDM di Gipi mi è piaciuto molto l'incontro di Tardi con le atmosfere di Léo Malet in 120, rue de la gare (che mi ha riportato anche ai tempi lontani della mia tesi, con tutti i manifesti su cui lavoravo...). Decisamente meno soddisfacente, nel tratto e nella storia, American born chinese, di Yang Gene Luen.
Ci sarebbe altro da dire, parole rabbiose e considerazioni incazzate per le quali non c'è lenimento filmico o cartaceo, ma sarà per la prossima volta...