martedì 1 settembre 2009

impressioni d'agosto

Ritornata mesta alla calura soffocante di Napoli, mi arrabatto con difficoltà tra il mio libro che non vede la via e poche ore di sole puteolano, stesa come una cotoletta tentando di non pensarci troppo, finendo inevitabilmente a pensarci molto…

Gli arretrati che avrebbero meritato condivisione si sono accumulati nelle settimane e oramai non trovano più il loro senso. Ci sono stati Pomigliano e Vico e Mercogliano con le loro serate jazz, gratuite o economiche, c’è stato Sandoval che è un po’ tamarro, ma un tamarro meraviglioso, Bosso, che quando sta sul palco ha un’aria modesta che te lo fa simpatico, musicisti di colore ottantenni con un’energia che io – ahimé – neppure a vent’anni, e pianiste orientali che ogni nota è sembrato la stesse suonando sulle tue vertebre, per il fremito…

Ci sono stati, talvolta fugaci, gli amici, i loro piccoli figli, l’emozione anche di solo un breve messaggio. C’è stato il Portogallo (che troverà a breve il suo spazio) e Venezia.

Ecco, due righe per la Biennale ci vogliono, ma non saranno benevole: più che Fare mondi avrebbe dovuto chiamarsi andare da fermi, ché francamente la sensazione più forte è stata un’assenza di direzioni e di cose da dire, da fare. Ciò che pure è piaciuto non è sempre parso nuovo (Barcelò al padiglione spagnolo, il lavoro sul tempo di Forgacs al padiglione ungherese, gli ospiti inquietanti di Wodiczko al padiglione polacco) mentre, nell’insieme, i padiglioni nazionali sembravano allestiti in modo sciatto, senza progetto. Il palazzo delle esposizioni ha riservato qualche – magra – sorpresa (Saraceno, Starling ma soprattutto Djurberg) mentre il padiglione italia è nel complesso imbarazzante (con le eccezioni di Berruti e Demetz). L’Arsenale è l’arsenale, ma lo è a prescindere da ciò che lo occupa. Con molti nonostante una città che si fa museo aperto (essendo già, di per sé, stucchevole museo en plein air) rapisce comunque, soprattutto liberandosi dalla dittatura dei pannelli gialli e lasciandosi andare tra i vicoli a casaccio, rischiando nel buio di finire nell’acqua, infilandosi nelle chiese o nelle dimore che ospitano la partecipazioni nazionali e gli eventi collaterali, o maledicendo le zanzare per poi inspirare l’odore del salmastro e sentirsi, inebetiti, altrove. Poi c’è l’essere insieme, a tratti sereni, e l’incontrare persone nuove lieti che esistano.

Agosto è stato punteggiato, oltre che di morsi di zanzara, di buone letture: Richard Yates, in primis, con Easter parade e Una buona scuola (Undici solitudini mi attendono stasera), Saramago con i suoi Oggetti, quasi, le Estasi culinarie della Burbery, Porno ogni giorno di M.Virgilio e Terre in disordine a cura di Braucci e Laffi.

Ovviamente poco cinema, ma Louise – Michel mi ha divertito, pur avendolo trovato, in fondo, furbamente compiaciuto. Bellissimo invece Tony Manero, che istituisce un parallelo spietato tra miseria individuale e civile. Il mese si è chiuso con l’ultimo Frears, Chéri, che, in barba ai pareri di Internazionale, a me e Roberto è piaciuto. In tv abbiamo poi intercettato il Baumbach de Il matrimonio di mia sorella, che recupera le tematiche di Il calamaro e la balena ma le sviluppa in un tono più greve e claustrofobico, sostenuto dagli attori. Sul remake di The fog preferisco tacere. E' tornato settembre e ci vuole proprio la PFM ad introdurlo, mi pare...