venerdì 4 dicembre 2009

Per grandi e piccini

Lettura a colori, favole e fumetti negli ultimi giorni. Felici esiti dei suggerimenti amicali.

I dolori sono mostriciattoli in bianco e nero che si dondolano e si aggrappano alle pieghe della nostra pancia mentre creature sbilenche, mostri depressi, animali improbabili popolano i racconti di Roman Dirge (I mostri nel mio pancino – Elliot ed.): la traduzione delle rime talvolta arranca, ma le sfumature di grigio, i vuoti occhietti tondi pieni di sgomento che popolano le pagine colmano tutte le lacune.

Semplicemente perfetto, ma di una semplicità che è profonda e intensa e complessa è l’albo di Wolf Erlbruch La grande domanda (edizioni e/o). Le grandi figure a collage si stagliano sul bianco caldo del foglio, spazio illimitato oltre il margine di cartoncino… Poetico, se significa emozionante e straniante, ma più solare, meno struggente de L’anatra, la morte e il tulipano, che resta il mio preferito.

A conferma delle piacevoli sensazioni ricavate dalla lettura di Animals, Bastien Vivès con Il gusto del cloro (Blackvelvet ed.) descrive tutto un ventaglio di emozioni quotidiane, banali, una storia fatta di silenzio e eventi minimali, in un esercizio quasi monocromatico dove spesso il tratto lascia il passo alle macchie compatte di colore.

Ho trovato belle le storie ma poco nelle mie corde i disegni di Jean-Claude Denis in Qualche mese a L’Amélie (Coconino press). Lo stile mi pare si inserisca pienamente nella tradizione francese ma la costruzione delle tavole non sembra adattarsi alla materia del racconto, che resta quasi una cosa a sé.

Sempre riuscite invece le storie di Gipi, tanto quando affidate agli scarni e un po’ sporchi tratti di penna che quando si stendono lungo le pennellate d’acquerello. Qualcosa di vecchio, qualcosa di nuovo, qualcosa di veramente bello in Diario di fiume e altre storie, per Coconino press.

[special thanks to Francesca, Antonio, Internazionale]

venerdì 27 novembre 2009

... e 3

Lavoro in corso, lavori terminati. Giorni di sole quasi estivo e pioggia torrenziale di ritorno. Una primavera fuori tempo nella testa…
Con il giusto controllo sono andata incontro ad alcune storie di perdita e spaesamento. Al cinema un non molto riuscito film italiano, Tris di donne e abiti nuziali di Vincenzo Terracciano, troppo assorto sul protagonista ed i primi piani per ottenere un buon risultato, ed è un peccato. Fortissimo e coinvolgente invece il quasi documentario Below sea level di Gianfranco Rosi. Il regista ha seguito per cinque anni un gruppo di homeless che vive nel deserto californiano, senza acqua, senza elettricità… Per quasi due ore si percorre il crinale tra la normalità e il fuori, tra dolori covati, desideri non sopiti e faticose prese di coscienza. Il regista era in sala ed ha confermato, nei suoi aneddoti, la forza di alcune riprese. Molto efficace la fotografia.
Addii e perdita anche nel breve romanzo di Philip Roth Everyman. Attraverso un racconto in terza persona che si fa soggettiva emotiva recupera la vita di un uomo qualunque, del suo corpo malato, delle sue passioni, della difficoltà di andare incontro al limite, ed accoglierlo.
Altre volte i limiti sono semplicemente mentali, come suggerisce L’uomo che fissa le capre, elogio postumo a Timothy Leary zeppo di citazioni e metacitazioni, dove gli attori fanno il verso alla propria carriera in un pastiche a metà tra i Cohen e il Gillian di Paura e delirio… divertente, a tratti esilarante, ma senza profondità.
La potenza salvifica del chiudersi in una sala buia è confermata, oltre che dall’estetica dello squallido che pervade il tutt’intorno, anche dagli esiti fallimentari dei noleggi video:
The spirit di Miller è un pendolo che oscilla tra la noia e l’insulso, gridando vendetta al cospetto del dio Eisner. Altrettanto ignobile il moralistico Live! di Bill Guttentag, dove le pur sode rotondità di Eva Mendes appare evidente che non sostengono 96’ di pellicola (e tantomeno le ernie inguinali del pubblico).

mercoledì 18 novembre 2009

due di due

La settimana scorsa un film svedese ha fornito la prova - ennesima - di quante scelleratezze si producano nel mercato italiano. I trailer in sala e in tv di Una soluzione razionale lo facevanno apparire come una commediola sulle coppie allargate. Si tratta invece di un film drammatico, che sicuramente guarda a Bergman ma con la disillusione di alcuni decenni più tardi, con dialoghi minimali, con la ferocia banale della quotidianità, smorzando i toni ogni volta che si desiderebbe un exploit, facendo un po' soffrire il pubblico. Un film tutto sommato abbastanza bello, con attori bravi (ma inseriti in una fotografia così scandinava da sembrare quasi cliché, ahimé).
Ancora cinema italiano: solidamente convinta che Il grande sogno sarebbe stata una clamorosa cazzata mi sono, solo in parte, ricreduta. Gli attori se la cavano, specie Jasmine Trinca. I personaggi non sono stereotipati come accade ad esempio nel '68 di Giordana (il più banale è il Libero/Argentero, mentre quello scritto meglio, nelle sue contraddizioni e incompletezze, è proprio Laura/Trinca). Nel complesso il film non fa né mitologia né superflua autocritica. Mi è parso interessante, e spero sia frutto di un intento preciso, il trattamento in parte televisivo delle immagini, la commistione di repertorio e sequenze invecchiate che pare suggerire una riflessione su come l'immagine mediale intervenga a costruire e persino a riscrivere la memoria di chi degli eventi è stato protagonista. Di tanta banalità, tra il nostalgico e il dissacratorio, che avvolge il ricordo di quei fatti questo film ha il merito di ciò che non fa.
Una nota autobiografica: mi ha fatto sorridere rendermi conto che i gruppi di studio proposti durante l'occupazione sono esattamente gli stessi che, 21 anni più tardi, vennero organizzati nella mia prima autogestione (Genovesi, Pantera...)

martedì 17 novembre 2009

autocitazione, in un certo senso

Ho scoperto di recente l'esistenza di una poesia che porta il mio nome e che in realtà proprio di me parla. Si badi, non si tratta mica di cazzate alla Bondi (altra tautologia, esagero ultimamente) bensì di una raccolta di poesie di un vecchio amico di mia madre che, all'epoca del ricordo che deve averlo ispirato, per me era una enigmatica figura sottile con i baffi, spesso silenzioso, che si assunse l'onere di una (allora, preinternet) complicata ricerca sul mio onomastico e l'origine del mio nome. Insomma, adesso c'è questa raccolta di poesie, di cui alcune davvero belle, che ha persino una prefazione di Agamben. Lui si chiama Francesco Nappo e questa Sera della piccola Nadia mi riporta molto lontano, a quegli anni '80 non ancora intrisi di pop scadente e sofferenza, in cui la casa di mia nonna era l'unica idea di casa che sapessi concepire, i miei genitori, in realtà tanto giovani, mi apparivano sicuri e sorridenti e c'era sempre il sole, anche sotto la pioggia...

Guarda: danza la figlia
appare e dispare
da tutte le stanze

domenica 8 novembre 2009

alti e bassi

Passati i morbi si torna finalmente al cinema. Up in 3d è molto bello pur senza aggiungere nulla di nuovo sul piano dei temi o dello stile, anzi, si presenta come un racconto piuttosto tradizionale, ma i personaggi sono simpatici, la storia commovente e i tempi perfetti. (Ok, non è wall-e, ma non può esser sempre caviale). Altro film che mi sentirei di definire "tradizionale" è il Nemico pubblico di Michael Mann: un gangster movie con note mélo che non fa la caricatura al genere ma tenta piuttosto di recuperarne la lezione dell'età dell'oro, come viene esplicitato verso la fine. Bravi gli attori e bella la fotografia, meno sopra le righe che in altri film di Mann. La ricostruzione delle ambientazioni ha inoltre il pregio di non scadere nel vintage. Insomma, un film bello soprattutto per ciò che non fa... Nota positiva, anche se piccola piccola, se la becca pure un film italiano piccolo piccolo (riconosco la tautologia), Cosmonauta.
Devo invece segnalare la forte noia procuratami da Kung fu Panda, a conferma del mio scarso feeling con le produzioni Dreamworks. Chiudo con una lista di film superflui, a monito dei lettori: Il patto dei lupi, L'ombra del sospetto, L'uomo che ama, La fiera delle vanità.

domenica 25 ottobre 2009

morbi

L’autunno si inoltra e la mia lista malanni cresce… Stavolta si è trattato di una travolgente epidemia familiare. Tra un dolore e l’altro, di natura fisica e no, e blogspot che fagocita post in fieri, non c’è molto di cui dover rendere conto.

Frost/Nixon è stato l’ennesimo film inutile di Howard, il quale si mostra sempre più legato al genere… C’è stato Tarantino, che è parso bello, sì, ma affatto epocale come altri hanno trovato. In dvd The Oxford murders, che ha pure una bella fotografia e l’idea sarebbe efficace ma il ritmo è imperfetto. E allora meglio la tv, dove elargendo il proprio obolo a Murdoch si possono godere i benefici dei primi episodi di Flash forward (che potrà anche essere l’ennesima serie che scompone e moltiplica le linee temporali ma – accidenti – per ora lo fa proprio bene). Alla terza stagione invece Dexter perde un po’ di mordente, ma la fidelizzazione è oramai troppo forte…

Dalle immagini in movimento ai movimenti in immagini va decisamente meglio e quindi le notti cupe trovano consolazione nelle figure oniriche di Taniguchi (La montagna magica), le inquietudini sentimentali nel bianco e nero di Judith Vanistendael (Sofie e Abou) e i momenti di sconforto professionale nell’ottimismo dal tratto incerto di Sualzo (L’improvvisatore).

Gli scampoli di tempo graziati dalle emicranie influenzali per ora sono dedicati all’ultimo romanzo di Nick Cave (La morte di Bunny Munro), che pare confermare tutte le belle sensazioni dell’ormai ventennale E l’asina vide l’angelo.

[E spero che tanto basti a Iosif il censore, la cui vicinanza mi è viralmente preclusa]

venerdì 2 ottobre 2009

tempus fugit

Il tempo scivola svelto e, tra un'influenza e una summer shool, gli unici rilievi sono le escursioni cinematografiche. Recuperarato al cineforum The reader, in cui il corpo sempre più bello di Kate Winslet percorre un viaggio struggente nell'intimità e nella vergogna. Il film rischiava grosso, avrebbe potuto facilmente scivolare nella retorica della colpa, e invece Daldry a mio avviso si tiene in equilibrio sul filo, lasciando che lo sguardo di Bruno Ganz o la maschera di Fiennes esprimano ciò che sarebbe ridondante dire.
Sebbene il pubblico in sala non sembrasse gradire, a me invece è piaciuto Cheri, di Frears (realizzo adesso che tutti i film di Frears mi piacciono...) in cui sulle - poche - rughe della Pfeiffer si costruisce l'architettura sadica della relazione amorosa.
Ben girato e ben recitato, anche se non altrettanto convincente nella sceneggiatura, è La custode di mia sorella, di Cassavetes jr, che non è il voglia di tenerezza di fine decennio, ma si avvicina, e forse troppo... Sarà stato per eccessive aspettative, o perchè il piccolo schermo inevitabilmente mortifica, ma The wrestler non ha suscitato entusiasmi: per quanto si possa apprezzare il coraggio di Rourke nell'esporre il proprio corpo martoriato dal tempo, inizio ad essere stanca di vedere quando gli stati uniti possano essere una terra senza speranza. Una vera crisi di claustrofobia mi ha poi provocato Io sono leggenda (dimostrando che se l'avevo evitato in sala, il mio intuito aveva ragione). L'ultima nota, tutta positiva, va a District 9, oscillante tra l'ironia e il grottesco, perfetto nelle scelte stilistiche e in tutto ciò che decide di lasciare in sospeso... ottimo cocktail di gamberi :-)

martedì 1 settembre 2009

impressioni d'agosto

Ritornata mesta alla calura soffocante di Napoli, mi arrabatto con difficoltà tra il mio libro che non vede la via e poche ore di sole puteolano, stesa come una cotoletta tentando di non pensarci troppo, finendo inevitabilmente a pensarci molto…

Gli arretrati che avrebbero meritato condivisione si sono accumulati nelle settimane e oramai non trovano più il loro senso. Ci sono stati Pomigliano e Vico e Mercogliano con le loro serate jazz, gratuite o economiche, c’è stato Sandoval che è un po’ tamarro, ma un tamarro meraviglioso, Bosso, che quando sta sul palco ha un’aria modesta che te lo fa simpatico, musicisti di colore ottantenni con un’energia che io – ahimé – neppure a vent’anni, e pianiste orientali che ogni nota è sembrato la stesse suonando sulle tue vertebre, per il fremito…

Ci sono stati, talvolta fugaci, gli amici, i loro piccoli figli, l’emozione anche di solo un breve messaggio. C’è stato il Portogallo (che troverà a breve il suo spazio) e Venezia.

Ecco, due righe per la Biennale ci vogliono, ma non saranno benevole: più che Fare mondi avrebbe dovuto chiamarsi andare da fermi, ché francamente la sensazione più forte è stata un’assenza di direzioni e di cose da dire, da fare. Ciò che pure è piaciuto non è sempre parso nuovo (Barcelò al padiglione spagnolo, il lavoro sul tempo di Forgacs al padiglione ungherese, gli ospiti inquietanti di Wodiczko al padiglione polacco) mentre, nell’insieme, i padiglioni nazionali sembravano allestiti in modo sciatto, senza progetto. Il palazzo delle esposizioni ha riservato qualche – magra – sorpresa (Saraceno, Starling ma soprattutto Djurberg) mentre il padiglione italia è nel complesso imbarazzante (con le eccezioni di Berruti e Demetz). L’Arsenale è l’arsenale, ma lo è a prescindere da ciò che lo occupa. Con molti nonostante una città che si fa museo aperto (essendo già, di per sé, stucchevole museo en plein air) rapisce comunque, soprattutto liberandosi dalla dittatura dei pannelli gialli e lasciandosi andare tra i vicoli a casaccio, rischiando nel buio di finire nell’acqua, infilandosi nelle chiese o nelle dimore che ospitano la partecipazioni nazionali e gli eventi collaterali, o maledicendo le zanzare per poi inspirare l’odore del salmastro e sentirsi, inebetiti, altrove. Poi c’è l’essere insieme, a tratti sereni, e l’incontrare persone nuove lieti che esistano.

Agosto è stato punteggiato, oltre che di morsi di zanzara, di buone letture: Richard Yates, in primis, con Easter parade e Una buona scuola (Undici solitudini mi attendono stasera), Saramago con i suoi Oggetti, quasi, le Estasi culinarie della Burbery, Porno ogni giorno di M.Virgilio e Terre in disordine a cura di Braucci e Laffi.

Ovviamente poco cinema, ma Louise – Michel mi ha divertito, pur avendolo trovato, in fondo, furbamente compiaciuto. Bellissimo invece Tony Manero, che istituisce un parallelo spietato tra miseria individuale e civile. Il mese si è chiuso con l’ultimo Frears, Chéri, che, in barba ai pareri di Internazionale, a me e Roberto è piaciuto. In tv abbiamo poi intercettato il Baumbach de Il matrimonio di mia sorella, che recupera le tematiche di Il calamaro e la balena ma le sviluppa in un tono più greve e claustrofobico, sostenuto dagli attori. Sul remake di The fog preferisco tacere. E' tornato settembre e ci vuole proprio la PFM ad introdurlo, mi pare...



giovedì 9 luglio 2009

....fa caldo

Troppi giorni che trascorrono senza avvenimenti epocali. Tanto per esser chiari, appare evidente che la nostra attenzione s'è fatta troppo effimera per cogliere la portata degli eventi. E dunque l'entusiamo demenzialrock per I love rock e il nodo all'intestino dopo l'animazione da capitan america di Valzer con Bashir (ma non, non è l'animazione a far venire il nodo, anche se con la sua elementarità produce effetti talvolta poetici) evaporano mentre attraverso rivoluzioni esistenziali (o semplici rivolte) con attitudine blasée. In fondo anche le grandi cerimonie mediatiche hanno fatto il loro tempo e non tirano più (vedi MJ). Un altro Ellroy, così uguale a se stesso e perciò così avvincente (Il grande nulla) ha accompagnato le notti torride. Con un pizzico di repressione qui e di xenofobia là, tra una laccata di unghie e un summit mondiale affronteremo l'estate in forma smagliante...

sabato 13 giugno 2009

il passato è una terra assolata


Un nuovo fumetto, un vecchio film. Fil rouge: il peso del passato, la sua leggerezza.
Il film è Il grande freddo di Kasdan, alla n-esima visione. Il fumetto è Perchè ho ucciso Pierre di Olivier Ka e Alfred (trad. ita. Tunué 2009).
E in entrambi il passato sta lì, sospeso nello spazio luminoso e irreale del ricordo, sottoposto al doloroso scandaglio del qui ed ora, dei racconti che ognuno ha fatto di sé... Del film sarebbe ridondante scrivere, del fumetto - dovutamente premiato - colpiscono i colori e la tecnica mista di Alfred, che delineano in modo bello e forte le emozioni del racconto. In entrambi il passato si dissolve in un mito positivo e il presente è carico di assenza, di fatica a comprendere come si sia evoluti, o involuti, in ciò che si è diventati. Echi biografici aggiungono un po' di suggestione (la generazione dei miei genitori del film, quella dei figli come me sulla carta). In entrambi la genitorialità, anche se in un margine apparente, si profila come spazio di ottimismo e costruzione....

venerdì 29 maggio 2009

vincere

L'ultimo film di Bellocchio, Vincere, mi è piaciuto. Le due ore abbondanti trascorrono senza pesantezza, anche se il ritmo della narrazione non può dirsi serrato... Timi e Mezzogiorno sono bravi, intensi senza eccessi. Lo stile è ibrido e sembra parodiare la cifra postmoderna con il ricorso ai filmati d'archivio, le ricostruzioni in b/n, le ricorrenti visioni cinematografiche, i caratteri sovraimpressi... in fondo, sembra ammettere il regista, sono un uomo d'altri tempi che tenta di ricostruire il filo del presente con fatica. L'aspetto più coinvolgente del film è sicuramente nel percorso di violenza che lega Mussolini alla Dalser, che si fa sintesi della violenza sui corpi femminili, e poi sul corpo civile: le lunghe e dettagliate scene di sesso esprimono la forza dell'abuso, ancor più doloroso a vedersi per la totale condiscenza, piegata da un desiderio cieco, di lei.
Oltre a tutto ciò si ritrovano i temi che Bellocchio porta con sè già da I pugni in tasca: un feroce anticlericalismo, uno sguardo lucido sulla perversione che si annida nei modelli familiari, la consepevolezza piena del portato politico delle nozioni di follia e normalità.
A conti fatti, il richiamo al presente appare più forte e meno retorico di quanto la stampa abbia voluto far credere...

mercoledì 27 maggio 2009

2+1

Il cinema continua a vedermi poco. Ad eccezione del cineforum del martedì. Visto Giulia non esce la sera, che come i due precedenti film di Piccioni usa molto il primo piano a marcare la distanza anzichè esprimere prossimità, racconta le vite semplificando la tragedia, come se il tempo scorresse su tutto e la camera con lui. Questo film non ha neppure il lieto fine, per quanto sospeso, dei precedenti, e mi è parso sinceramente bello, anche grazie all'interpretazione, inattesa, di Mastandrea. Due partite di Monteleone invece non funziona, non si distacca abbastanza dalla forma teatrale (vorrebbe farlo con un uso stavolta eccessivo del primo piano) e non rende giustizia alle attrici, che sembrano in leggero décalage con i testi e le scenografie. La seconda parte, quella delle figlie (delle protagoniste della prima), appare più credibile, e meno fissata nei clichés.
Dove il cinema non ha guizzi, il fronte fumetto continua ad esaltarmi. E non poteva andare diversamente dopo il tardivo acquisto e la famelica lettura della Trilogia di Will Eisner (Contratto con Dio - La forza della vita - Dropsie avenue), ed. Fandango. La profondità del bianco e nero, la forza delle narrazioni in cui il fuoco si sposta continuamente, il trascorrere ineluttabile del tempo che nulla sottrae alla forza degli individui, con le loro piccole storie, le passioni e i dolori e su tutto la forza della metropoli, del mutamento... strepitoso e avvincente.

lunedì 25 maggio 2009

suggestioni

Un après-midi là, dans la rue du Jourdain,
on peut dire qu'on était bien,
assis à la terrasse du café d'en face
on voyait notre appartement.

Je ne sais plus si nous nous étions tus
ou si nous parlions tout bas là au café d'en bas,
mais je revois très bien la table et tes mains,
le thé, le café et le sucre à côté.

Puis d'un coup c'est parti, tout s'est effondré,
on n'a pas bien compris, tout a continué,
tandis qu'entre nous s'en allait l'équilibre,
plus jamais tranquilles, nous tombions du fil.

Cet après-midi là, dans la rue du jourdain,
en fait tout n'allait pas si bien,
assis à la terrasse du café d'en face
on voyait notre appartement,
si triste finalement avec nous dedans...

[Yann Tiersen, La terrasse]

venerdì 22 maggio 2009

dieta, cioè... no...regime!

"Le assemblee pletoriche sono assolutamente inutili e addirittura controproducenti'." [Berlusconi 21/05/2009]

Vi ricorda qualcosa? No??? Magari questo:

"Di che male abbiamo sofferto noi? Di un un prepotere del Parlamento. Quale il rimedio? Ridurre il prepotere del Parlamento. Le grandi soluzioni non possono mai essere adottate dalle assemblee, se le assemblee non sono state prima convenientemente preparate." [indovinate chi, la risposta in fondo]




R: Mussolini 25/10/1925

martedì 19 maggio 2009

sodoma

Con circa un anno di ritardo, e per di più su piccolo schermo, vedo Gomorra. Il film mi piace. Mi era piaciuto anche il libro. Ma sono due cose radicalmente diverse, ben oltre l'evidenza del medium. Il libro mi sono ritrovata a difenderlo in interminabili discussioni, precisando che non lo trovavo per nulla ben scritto, che i passaggi con maggiori aspirazioni letterarie erano davvero brutti ma che, anche se raccontava realtà già messe in luce da altri lavori, forse migliori, la vera qualità di Saviano credevo fosse nel suo stesso limite: una scrittura un po' dozzinale e talvolta sensazionalistica, che ha fatto sì che il libro piacesse a decine di migliaia di persone, rendendo possibile una diffusione dell'informazione di portata inattesa e inaudita*. Fermo restando poi il teorema di fondo (teso a smantellare l'ipocrisia di quella borghesia più o meno illuminata che ama deresponsabilizzarsi dietro mistificatorie linee di confine tra bene e male, legalità e illegalità): la camorra è prima di tutto business e il sistema d'affari si articola in una concatenazione di attività legali e delinquenziali in cui tutto il sistema economico è coinvolto.
Tutto questo nel film non c'è (ad eccezione, forse, della linea narrativa di Pasquale). E tuttavia c'è molta più narrazione. C'è anche un'estetica dello squallore con cui Garrone lavora sin da L'imbalsamatore. Ma questa volta, come non in passato, mi ha convinto. Probabilmente perchè di fronte alla forza di ciò che si trova a raccontare, invece di esasperare lavora per sottrazione; e forse per l'effetto alienante della lingua, faticosamente seguita anche da chi come me il dialetto lo frequenta, e che si fa metafora della fatica di accettare, più che comprendere, ciò che l'immagine sbatte in faccia.
Nel riconoscere i luoghi, lo skyline delle vele come le pinete tra Mondragone e il villaggio Coppola, nell'ascoltare le stesse canzoni che ogni mattina, inopinatamente, arrivano a svegliarmi dalla radio della vicina, non ho potuto non chiedermi che emozioni suscitassero in chi vive la libertà di sentire tutto ciò esotico, laddove io lo riconosco e al tempo stesso lo rinnego, lo subisco, spesso, eppure lo avverto alieno: quanto mi riguarda tutto ciò? Quanto ci riguarda? Esiste poi questo ci? Questi pensieri si sono riallacciati, in un crescendo di disagio, ai ricordi di sabato scorso, quando ho trascorso l'intera mattina muovendomi in auto nello sconcertante degrado tra Afragola, Casoria e aree limitrofe, dove le arterie stradali solcano terreni incolti, discariche a cielo aperto, conducendo a centri commerciali tutti simili tra loro, sorti nell'arco di un decennio, moltiplicatisi come da spore su quella terra intossicata. Nuclei vicini eppure separati da un vuoto che solo le automobili possono tagliare, poichè non c'è vivibilità fuori dell'abitacolo privato, non c'è sicurezza, non c'è alternativa. L'immagine agghiacciante di una modernità nata obsolescente, dove ci si perde, si gira a vuoto, perchè i segnali sono troppi, troppo piccoli, troppo diversi, perchè non c'è logica nè orientamento, nè cosa pubblica.
Ed ecco ancora la sensazione di non saper posizionarsi: percepirsi isolati nella folla del centro commerciale, gettati e fragili sulla striscia di asfalto, assenti a sè stessi nella riflessione, atrofizzati e impossibilitati nell'agire collettivo, frustrati nella rappresentanza politica. Ancora incapaci di volgere lo sgomento in ragione, la rabbia in gesto, l'emozione in parole....

*ammetterò una nota sprezzante in queste affermazioni, ma siamo pur sempre il paese in cui, anche leggendo poco, si è concesso che la tamaro e baricco diventassero best seller...

mercoledì 13 maggio 2009

de-visioni

Dopo molti rabbiosi post mancati, una più tradizionale considerazione su qualche visione.
Avendo temporaneamente abbandonato le serie di sky alla prima puntata di Life on Mars, ho ripiegato su una esecrabile successione di brutti film, che liquiderò rapidamente, come servizio di pubblica utilità:
Questa notte è ancora nostra di Genovese e Miniero: misero
Mai stata baciata di R. Gosnell: banale
Il rompiscatole di B.Stiller: al di sotto delle aspettative
Le cose che non so di lui di S. Grant: floscio e melenso
Nero bifamiliare di F. Zampaglione: patetico
Italians di G. Veronesi: insulso con cazzimma
Ex di F.Brizzi: scontato
La cospicua presenza di film italiani conferma il mio giudizio complessivo: il cinema nostrano è messo male. Tuttavia esula dal contesto la pellicola di ieri sera, che non a caso ha avuto un iter travagliato ed una distribuzione ridottissima: Un altro pianeta, di Stefano Tummolini, un film sul dolore e la fatica di affrontarlo, calato in uno scenario iperreale - il litorale laziale - nel quale i corpi si posizionano con difficoltà, attraversando il disagio. Bello.
Per il resto, cerco di dedicarmi ai fumetti e dopo la gratificante ma ormai lontana LMVDM di Gipi mi è piaciuto molto l'incontro di Tardi con le atmosfere di Léo Malet in 120, rue de la gare (che mi ha riportato anche ai tempi lontani della mia tesi, con tutti i manifesti su cui lavoravo...). Decisamente meno soddisfacente, nel tratto e nella storia, American born chinese, di Yang Gene Luen.
Ci sarebbe altro da dire, parole rabbiose e considerazioni incazzate per le quali non c'è lenimento filmico o cartaceo, ma sarà per la prossima volta...

sabato 18 aprile 2009

due cose giuste ne fanno sovente una sbagliata

..."Cadere nel vuoto come cadevo io, nessuno di voi sa cosa vuol dire. Per voi cadere è sbattersi giù dal ventesimo piano d'un grattacielo, o da un aeroplano che si guasta in volo: precipitare a testa sotto, annaspare un po' nell'aria, ed ecco che la terra è subito lì, e ci si piglia una gran botta. Io vi parlo invece di quando non c'era sotto nessuna terra nè nient'altro di solido, neppure un corpo celeste in lontananza capace di attirarti nella sua orbita. Si cadeva così, indefinitamente, per un tempo indefinito. Andavo giù nel vuoto fino all'estremo limite in fondo al quale è pensabile che si possa andare giù, e una volta lì vedevo che quell'estremo limite doveva essere molto ma molto più sotto, lontanissimo, e continuavo a cadere per raggiungerlo. Non essendoci punti di riferimento non avevo idea se la mia caduta fosse precipitosa o lenta... [I. Calvino -Le cosmicomiche]


giovedì 16 aprile 2009

un segno col gesso


Nel bello degli amici, ci sono i doni. Della loro presenza, evidentemente, ma anche i doni materiali che poi sono carichi di immateriale... La scorsa settimana sono tornati a napoli Ivan e Maria, con i quali ho tentato di guardare a questa dannata città con occhi altri ed ho imbastito conversazioni in un idioma non meglio definito, tra italiano, catalano e castigliano, con repentine incursioni nel francese, quando proprio ci mancava la parola... Mi hanno portato in dono, per l'appunto, un bellissimo fumetto di cui ignoravo tutto: Trazo de tiza di Miguelanxo Prado (trad. ita. Segno di gesso, 001 edizioni). Sorvolando sulla mia ignoranza - pare si tratti di uno dei più premiati fumetti spagnoli di tutti i tempi - questo album è bellissimo. Il tratto è corposo (pastelli ad olio?), l'intensità dei colori accompagna ed interpreta l'andamento emozionale del racconto, la storia è suggestiva, il dichiarato esperimento narrativo (perchè siamo di fronte ad una novella grafica) riuscito. Non manca neppure un compiaciuto omaggio a Pratt... Da donare, senza dubbio.

venerdì 27 marzo 2009

quoto

L'altra sera Auster citava Beckett (e già ciò è stracitato): fallisci ancora. fallisci meglio.
(quanta possibile speranza. quanta inutile disperazione)

martedì 24 marzo 2009

due mostre

Semiweek-end romano per incontrare amici e bighellonare per mostre. Nel dettaglio, due:
Futurismo. Avanguardia - avanguardie e Giotto e il Trecento.
Per ragioni diverse sono rimasta insoddisfatta di entrambe.
La mostra sul futurismo è piatta e didascalica come un manuale di educazione artistica: dieci sale tematiche, un'ottantina di opere diligentemente disposte a ricostruire l'incontro tra futurismo e tendenze coeve, nessun lampo di genio nè accostamento inedito. Per chiunque abbia, una volta nella vita, dato una scorta al succitato manuale, l'esposizione risulta francamente superflua.
La mostra su Giotto è indubbiamente più interessante, nell'impiego di diverse tecnologie e nella ricchezza del percorso. Molto più Trecento che Giotto, a conti fatti, ma non è un limite. Il vero neo dell'esposizione, a mio avviso, è nel ricorrere a supporti tecnologici senza sfruttarne a fondo le potenzialità: in un corridoio di monitor scorrono gli affreschi di Giotto, con dovizia di zoom sui dettagli, ma purtroppo la definizione è insufficiente (e quanto lo sia appare invece chiaro nell'unica sala dotata di schermo Hd....). Nei due piani successivi si va incontro alla lezione del maestro nelle diverse scuole regionali e alcune madonne da sole valgono la visita... Nel complesso tuttavia l'allestimento non mi è parso riuscito, brutte le luci, gli angoli del percorso, disorganico l'insieme... la folla da prima settimana ha fatto il resto.

giovedì 19 marzo 2009

collage

Corriere: "Aborti: aumentano le richieste. Colpa della crisi. Il dato riguarda le italiane. Tra le immigrate si diffonde il fai-da-te"
Repubblica: "Scontro con l'Europa per le affermazioni sull'inutilità del preservativo. Il Vaticano non arretra"
L'Unità: "Berlusconi: fare il premier mi fa schifo"
Ansa: "Gaza. raid israeliano. Due morti"
RaiNews24: "La fronda dei 101 del pdl"
Repubblica: "Brunetta: gli studenti dell'Onda vanno trattati come guerriglieri"
....così, per accostamento casuale....

martedì 17 marzo 2009

l'onda

Ieri sera ho visto "L'onda", il film di Dennis Gansel ispirato ad una storia veria. In sintesi, c'è un prof un po' fricchettone e una classe di oggi, tristemente globalizzata, ché Dortmund o Cesenatico la differenza sfugge (ad eccezione dei genitori tedeschi, meno sessuofobici di quelli italiani, indubbiamente). Il nostro prof decide di fare un esperimento didattico e l'esperimento funziona come mai accade in laboratorio... Bastano sette giorni per fare di un gruppo di adolescenti confusi (forse bisognerebbe scriverlo tuttattaccato adolescenticonfusi, inscindibile binomio) un manipolo di fascisti. Bingo! Dopo quasi due ore resta il sospetto che per i suddetti giovani, che hanno assaporato il gusto della coesione di gruppo e dell'individuazione del nemico come sfogo di ogni frustrazione, la tragedia finale non basti a tornare "sulla retta via".... Sul film non c'è nulla da eccepire, è ben girato, non rischia di risultare retorico perchè i personaggi non sembrano tagliati con l'accetta, è indubbiamente efficace, godendo del bonus "storia vera". C'è anche il bonus attualità per lo spettatore italiota, tra i proclami dei 5 in condotta, parapsicologi che inneggiano alla disciplina, ai nocheaiutanoacrescere e ai grembiulini (altra questione affrontata e egregiamente risolta nel film). Certo, oltre tanta attualità, a me un po' di amaro in bocca è rimasto, per varie ragioni.
In primo luogo perchè i liceali del film mostravano competenze e conoscenze che io fatico a trovare nei ragazzi che incontro all'università (anche se sono consapevole che stare "dall'altro lato della cattedra", per quanto ti mostri accondiscendente e ti fai dare del tu, come il prof del film, resta un punto di osservazione distorto). In seconda battuta perchè ancora una volta mi sono trovata a riconoscere che c'è un principio di gratificazione quasi universale nel rituale, nell'appartenenza, nei processi di identificazione collettiva... Mi rendo conto, è una considerazione molto ovvia, che però ieri in me ha suscitato sgomento. Un disagio che probabilmente devo ricollegare alle immagini di folle acclamanti il nano in Sicilia della sera precedente (Report 15/03/09), o fors'anche ai kilometri percorsi attraverso campagne colme di rifiuti, strade dissestate, centri commerciali suppurati nel vuoto, che ho bazzicato negli ultimi due giorni. Lo stesso vuoto che ritrovo a volte nelle analisi del mio studente, che mi fa tenerezza e rabbia, insieme, perchè non condividde nessuno dei miei strumenti di analisi mentre io sono incapace di comprendere quali siano i suoi, di strumenti. Un vuoto in cui imperversano attitudini individuali molto discutibili, ma che poi si compatta dietro rituali mediatici, dietro una fascinazione taumaturgica per la pauperizzazione della discussione, dietro la seduzione giullaresca ed autoritaria, dietro un becero clericalismo che nulla ha a che vedere con la forza di chi crede.... E mi vengono fuori frasi bislacche, che bypassano le analisi attente, i tanti strumenti, e si caricano invece dell'insofferenza, del soffocamento, del senso di speranza rattrappito, del dubbio sull'azione e, infine, anche della profonda frustrazione di non appartenere più ad un gruppo, di non riconoscermi in valori, rituali e pratiche condivise... ed ecco che il cerchio si chiude.

lunedì 16 marzo 2009

...e adesso qualcosa di completamente diverso

L'idea dovrebbe essere: iniziare di nuovo. Lasciarmi alle spalle il vecchio spaces di msn e dar vita a qualcosa di diverso. Non è detto che mi riesca... ;-)